Lunedì 20 luglio il redde rationem con le casse del fisco

Le partite Iva chiamate a pagare 34 miliardi di euro dei 50 miliardi avuti in prestito garantito dallo Stato. Allarme Cgia per il possibile aumento del rischio usura tra le imprese.

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Crollo dei prestiti moratoria sui prestiti

Nonostante le attese del settore produttivo e professionale che hanno chiesto inutilmente un rinvio almeno fino a dopo ottobre, lunedì 20 luglio le partite Iva saranno chiamate al loro “dovere” di versare alle vuote casse del fisco qualcosa come 34 miliardi di euro tra saldo Irpef (6,2 miliardi), saldo Ires (7,1 miliardi), acconto Irpef (7,4 miliardi) e acconto Ires (13,2 miliardi): ce n’è abbastanza per spendere gran parte del “tesorettoprestato dallo Stato, quei 50 miliardi (degli annunciati, ma mai visti) 400 miliardi di prestito garantito. 

Di fatto, lo Stato si riprende con la mano destra gran parte di quello che con la sinistra ha micragnosamente concesso, con il risultato di una colossale partita di giro a danno delle imprese e del lavoro autonomo che si troverà peggio di prima, in quanto più indebitato e con meno liquidità a disposizione. Insomma, una sorta di gioco delle tre carte dove il baro non è qualche astuto furbacchione ma direttamente lo Stato.

Comunque si giri la cosa, con un simile prelievo difficilmente l’economia potrà riprendersi con quello spunto necessario per recuperare la “botta” del Coronavirus e cercare di andare oltre. Di fatto, come denuncia la Cgia, il governo BisConte e della sua maggioranza delle quattro sinistre potrebbe pure essere corresponsabile di incrementare l’odioso fenomeno dell’usura, specie tra quelle 240.000 imprese che presentano esposizioni bancarie deteriorate, a rischio di insolvenza, che potrebbero ricevere la spintarella finale con l‘appuntamento con le casse del fisco.

Imprese che per la loro condizione finanziaria, non possono neppure accedere alle misure agevolate messe in campo recentemente dal Governo con il cosiddetto “decreto Liquidità”.

«Non potendo ricorrere a nessun intermediario finanziario – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – queste Pmi, strutturalmente a corto di liquidità e in grosse difficoltà finanziarie, in questo periodo di carenza di credito rischiano molto più delle altre di scivolare tra le braccia degli strozzini. Riteniamo che per evitare tutto questo sia necessario incentivare il ricorso al “Fondo per la prevenzione” dell’usura. Uno strumento, quest’ultimo, presente da decenni, ma poco utilizzato, anche perché sconosciuto ai più e, conseguentemente, con scarse risorse economiche a disposizione». 

Il “Fondo di prevenzione” dell’usura, ricorda l’Ufficio studi della Cgia, è stato introdotto con la legge n. 108/1996 e ha cominciato ad operare nel 1998. Questa misura consente agli operatori economici a “rischiofinanziario di accedere a canali di finanziamento legali e dall’altro aiuta le vittime dell’usura che, non svolgendo un’attività di impresa, non hanno diritto ad alcun prestito da parte del “Fondo di solidarietà”. 

Il “Fondo di prevenzione” prevede due tipi di contribuzione. La prima, è destinata ai Confidi a garanzia dei finanziamenti concessi dalle banche alle attività economiche. La seconda, è riconosciuta alle fondazioni o alle associazioni contro l’usura che sono riconosciute dal MEF. Queste realtà consentono alle persone in grave difficoltà economica (lavoratori dipendenti e pensionati) di accedere al credito in sicurezza. Dal 1998 al 2018, ai Confidi e alle Fondazioni lo Stato ha erogato 620 milioni di euro, di cui 430 ai primi e 190 ai secondi. Tali risorse hanno garantito finanziamenti per un importo complessivo pari a circa 2 miliardi di euro. Nel 2018 ai due enti erogatori (Confidi e Fondazioni) sono stati assegnati 19,8 milioni di euro (contro i 26,8 erogati l’anno prima). A imprese e cittadini, invece, grazie a queste garanzie sono stati erogati 67,7 milioni di euro di prestiti. Nel 2017, infine, il numero dei beneficiari che ha ottenuto un prestito con l’ausilio del “Fondo di prevenzione” è stato di soli 2.260 soggetti (1.027 attraverso i Confidi e 1.233 per mezzo delle Fondazioni). 

Sebbene il fenomeno sia in espansione, i numeri ufficiali dell’usura sono in calo, anche a causa della diminuzione del numero delle segnalazioni alle forze dell’ordine. Negli ultimi 10 anni, il numero delle denunce per usura ha toccato il suo picco massimo nel 2013 (460). Il dato, poi, è progressivamente sceso toccando il valore minimo nel 2018 (189). Rispetto al 2010, il numero delle denunce registrato nel 2018 (ultimo aggiornamento disponibile) è crollato della metà.

In questo contesto, le prossime scadenze con le casse del fisco potrebbero essere l’“innesco” che attiva molte aziende a corto di liquidità a “contattare” o a esserecontattate” dalle organizzazioni criminali, che da sempre possono contare su importanti disponibilità di denaro proveniente da attività illegali. 

E fino al 31 luglio in Italia si verificherà un vero e proprio ingorgo fiscale a seguito dello slittamento delle scadenze avvenuto nei mesi scorsi a causa del Coronavirus, saranno ben 246 le scadenze fiscali (Irpef, Irap, Ires, Iva, ritenute e contributi Inps) che le aziende saranno chiamate a rispettare. Di queste, il 93,5% riguarda versamenti. Decisamente troppe per un malato, l’economia nazionale, già in rianimazione.

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