Il “Tax free day” 2022 delle Pmi è arrivato il 10 luglio

Fisco, Cna: tra 2005 e 2022 pressione è cresciuta fino al 43,5%.

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La data in calendario a partire dalla quale i profitti si possono ritenere idealmente prodotti per sé da una piccola impresa italiana nel 2022 è arrivata prima: il “Tax free day” è stato il 10 luglio, in netto anticipo rispetto al 2021quando era accaduto il 7 agosto, secondo lo studioComune che vai fisco che trovi” dell’Osservatoriopermanente sulla tassazione delle Pmi della Cna.

Dal 2019 al 2021 mediamente la piccola impresa doveva lavorare per pagare le tasse fino al 7 agosto, con una differenza di soli 2 giorni rispetto all’iniziale data del “Tax Free Day” registrata al 9 agosto 2019. Successivamente, nel 2022, per effetto della totale deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa, con l’abolizione dell’Irap per le persone fisiche esercenti attività d’impresa nonché con la mini riforma Irpef, si è verificato un balzo del “Tax Free Day” di ben 28 giorni dall’ultima data del 7 agosto relativa al 2021 e di 30 giorni dalla data del 9 agosto inizialmente registrata nel 2019.

L’analisi del peso dei tributi erariali, locali e dei contributi sul reddito d’impresa ed il suo contraltare, il reddito disponibile genera in media un “total tax rate” del 52,7%, con importanti differenze sul territorio. Una piccola impresa di Agrigento ha bisogno di lavorare oltre un mese in più per far fronte al carico fiscale rispetto a una di Bolzano, nel 2022 con il 30 luglio come “Tax free day” e una pressione fiscale del 58%. A Bolzano la data di liberazione fiscale è caduta il 18 giugno bolzanino e il carico fiscale al 46,7%.

In cima alla classifica dei capoluoghi di provincia con il regime più favorevole ci sono anche, in seconda posizione, Trento con il 47,9% e Gorizia con il 48,5%. A fondo classifica del “Tax free day” si piazzano invece, oltre ad Agrigento, Vercelli con il 57,1% e Biella con il 56,9%. Tra le principali città, Roma è in 83esima posizione con il 53,4% e Milano 24esima con il 51,3%.

Secondo lo studio di Cna, tra il 2005 e il 2022 la pressione fiscale in Italia è cresciuta fino a raggiungere il 43,5% nel 2022, registrando una lieve flessione solo tra il 2016 e il 2018 (42,1). Il dato della pressione fiscale nazionale tuttavia non è rappresentativo del carico fiscale che grava sui redditi delle piccole imprese.

Cna evidenzia come in Italia non esiste una pressione fiscale uniforme, ma tante pressioni fiscali a secondadella natura del soggetto che realizza il reddito (persona fisica, società di persone o di capitali), nonché della natura del reddito stesso (reddito di lavoro dipendente, reddito di lavoro autonomo o d’impresa), ciascuno con privilegi e penalizzazioni. A seguito della spinta verso un federalismo fiscale più marcato, avvenuta tra il 2009 e il 2014, la pressione fiscale risulta variare di molto anche sulla base della localizzazione dell’attività produttiva.

La delega fiscale propone una «rivisitazione radicale» del sistema volta a renderlo “«più equo» e «orientato alla riduzione della pressione fiscale come stimolo alla produttività delle imprese e alla crescita economica“. Gli obiettivi di riduzione della pressione «si trovano nella volontà di ridurre la tassazione Irpef con la graduale riduzione delle aliquote, fino all’aliquota unica, nonché dalla volontà di premiare l’incremento dei redditi».

La “grande assente” della proposta di riforma è però la riforma del catasto. Per la Cna «considerando che la tassazione sugli immobili, specialmente quelli produttivi delle imprese sta diventando progressivamente sempre più importante agganciare il valore catastale degli immobili (quello rilevante per la tassazione) al valore di mercato degli stessi, adesso completamente scollegato dal primo, è una priorità che avrebbe garantito un ulteriore spinta verso l’equità del prelievo fiscale sugli immobili. Una riforma che, pertanto, in diverse delle misure finalizzate a raggiungere questi importanti obiettivi, va nella direzione da tempo disegnata dalla Cna nei precedenti rapporti, tuttavia migliorabile sotto diversi punti di vista».

Tra il 2019 e il 2021 inizia a registrarsi una spinta verso il basso del “Total Tax Rate” nella misura dello 0,4%passando dal 60,6% al 60,2% fino ad arrivare alla «rilevante riduzione» di ben 7,5 punti percentuali nel 2022. Per la Cna la riduzione dell’ammontare delle tasse e dei contributi obbligatori che le imprese devono pagare, dopo aver conteggiato le deduzioni e le esenzioni consentite, è legata a una combinazione di fattori positiviquali tributi locali, conseguente alla decisione dei comuni di applicare aliquote più basse al reddito complessivosu cui calcolare l’Irpef; della stessa Irpef dovuta al riconoscimento della deducibilità parziale dell’Imu dal reddito d’impresa, prevista per gli anni 2020 e 2021, nella misura del 60%.

Ben diverso l’andamento del “Total Tax Rate” nel 2022 dove si registra una significativa riduzione di 7,5 punti percentuali ascrivibile all’intervento di modifica dell’Irpef, inserito nella legge di bilancio per il 2022, consistente in un’ampia revisione dell’imposta relativamente alle aliquote marginali legali, agli scaglioni, nonché all’incremento delle detrazioni; eliminazione dell’Irap per gli imprenditori individuali e gli autonomi; deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa nella misura del 100% rispetto al 60% di deducibilità applicabile per il 2021.

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