Coltivazione di mais: non demonizzare a prescindere il prodotto OGM

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mais-ilnordestLettera aperta di Confagricoltura e dei Maiscoltori Friuli Venezia Giulia a Serracchiani e Bolzonello

Il presidente friulano dell’Associazione Italiana Maiscoltori Marco Aurelio Pasti e Claudio Cressati presidete di Confagricoltura Friuli Venezia Giulia hanno scritto una lettera aperta ai vertici della regione Friuli Venezia Giulia per chiedere di non chiudere aprioristicamente la porta all’impiego del mais OGM nella produzione locale, anche in considerazione delle conseguenze che il loro mancato impiego ha sull’economia e sull’ambiente locale. Ecco il testo del loro appello.

«In questi giorni sono in discussione presso gli uffici della regione Friuli Venezia Giulia le regole per la coesistenza tra colture geneticamente modificate, convenzionali e biologiche. L’obiettivo politico dichiarato dall’amministrazione regionale è quello di impedire la coltivazione di mais geneticamente modificato per resistere alla piralide. Nonostante quest’obiettivo sia perfettamente centrato nel testo messo a punto dagli uffici regionali, siete stati accusati dagli oppositori degli OGM di voler spalancare le porte alla coltivazione di OGM in regione. A queste accuse avete risposto che «il Friuli Venezia Giulia è la prima regione italiana sotto attacco degli OGM» e che le norme per la coesistenza sono l’unico strumento nelle mani dell’amministrazione regionale per impedire, di fatto, la coltivazione di OGM.

Appare evidente che il no agli OGM sia la strada che ritenete vincente nell’attuale contesto politico. Tuttavia questa strada non è senza costi per i cittadini e le imprese che vivono e operano in Friuli. Infatti il mais, con oltre 90.000 ettari coltivati, è la principale coltivazione della regione e la piralide è un insetto in grado di causare gravi danni sia quantitativi sia qualitativi a questa coltivazione. La perdita di produzione è molto variabile di anno in anno, ma può essere stimata in non meno del 10% della produzione regionale ovvero in oltre 80.000 tonnellate per un valore di almeno 16 milioni di euro. Ad oggi le varietà geneticamente modificate per resistere alla piralide sono il mezzo di gran lunga più efficiente per il suo controllo e sono stati ritenute sicure per l’uomo e l’ambiente dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dalle più credibili istituzioni internazionali. A questo va aggiunto il problema della contaminazione di alcune micotossine, sostanze tossiche prodotte da muffe, che si sviluppano prevalentemente sulle parti di spiga attaccate dalla piralide. Tra le micotossine, le fumonisine sono strettamente connesse al danno causato dalla piralide che è in grado di aumentarne il contenuto di oltre 100 volte e sono state classificate come possibili cancerogene per l’uomo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) anche in base a studi epidemiologici svolti in Friuli sul cancro alla cavità orale, alla faringe e all’esofago. Le fumonisine sono tossiche anche per gli animali tanto che spesso l’industria mangimistica preferisce comprare mais estero a prezzo superiore perché meno contaminato da fumonisine. Complessivamente a livello nazionale si può affermare, in base a stime dell’Università Cattolica di Piacenza, che il danno derivante da intossicazioni croniche da fumonisine agli allevamenti zootecnici sia dello stesso ordine di grandezza del danno subito dai produttori di mais.

La piralide è uno dei maggiori fattori di rischio di contaminazione anche per le aflatossine, dopo caldo e siccità. Le aflatossine, classificate come sicuramente cancerogene, sono più rare ma molto più tossiche delle fumonisine, ed hanno la caratteristica di passare nel latte e quindi nei formaggi. La loro presenza potrebbe aumentare nei prossimi anni data la tendenza al rialzo delle temperature ed un controllo efficiente della piralide potrebbe diventare una condizione indispensabile per poter produrre mais in Friuli.

Da un punto di vista ambientale andrebbe considerato che il mais resistente alla piralide non solo riduce la distribuzione nell’ambiente di insetticidi non selettivi, ma richiede meno acqua, energia, concimi e agrofarmaci per essere prodotto, dal momento che a parità di input si ottiene il 10 percento in più di produzione. Per ottenere lo stesso quantitativo di mais prodotto oggi in Friuli si potrebbero risparmiare 50 milioni di metri cubi d’acqua, 9.000 TEP di energia, 45.000 kg di agrofarmaci e 8.000 tonnellate di concimi o, a parità di superfici investite, assorbire 260.000 tonnellate di CO2 in più dall’atmosfera.

Quindi, da norme che permettano la coesistenza possono derivare tangibili vantaggi per gli agricoltori (oltre 30 milioni di Euro), per i consumatori (minor rischio di contaminazione di micotossine possibili o sicure cancerogene) e per l’ambiente (minori consumi di energia, concimi e agrofarmaci per unità di prodotto). Buone norme di coesistenza permettono ai produttori di scegliere cosa produrre e ai consumatori cosa consumare.

La distanza tra queste considerazioni e l’immagine creata in questi anni presso l’opinione pubblica è considerevole, a causa di una sistematica azione denigratoria svolta da una certa parte dell’agroalimentare italiano che vede nella demonizzazione degli OGM una strategia commerciale per fidelizzare i consumatori e cavalcata da una certa parte della politica per fidelizzare gli elettori. Questa strategia poggia tra l’altro sull’ipocrita omissione del fatto che, da oltre 15 anni, quotidianamente gli OGM entrano pacificamente e incontrastati in regione tramite camion, treni e navi di soia modificata geneticamente prodotta all’estero e senza la quale una parte importante dei rinomati prosciutti e formaggi friulani non potrebbe essere prodotta.

Crediamo sarebbe importante che la Regione Friuli Venezia Giulia compisse uno sforzo per ridurre la distanza tra la realtà produttiva e la sua immagine presso l’opinione pubblica: i buoni governi guidano i cambiamenti, quelli cattivi cavalcano le paure degli elettori».