Un grande debutto di “Smith&Wesson” al Teatro Goldoni di Venezia

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Alessandro Baricco
Successo di pubblico per il lavoro teatrale di Alessandro Baricco in “prima” nazionale
 

 

Di Giovanni Greto

 

 

Alessandro BariccoLa prima nazionale al Teatro Goldoni di Venezia di “Smith&Wesson”, l’ultimo lavoro teatrale di Alessandro Baricco, è stata preceduta al mattino da una chiacchierata informale tra gli addetti ai lavori e lo scrittore, affiancato dal regista Gabriele Vacis, dall’attore Natalino Balasso e dallo scenofono Roberto Tarasco.

Baricco ha detto di non aver voluto assistere a nemmeno una prova, per non perdere il piacere della sorpresa. «Il lavoro inizialmente è nato per due attori, che in realtà sono un unico personaggio. Col passare del tempo mi sono accorto che diventava difficile limitarsi solo a due. La noia incombeva. E allora ho pensato di inserire un personaggio femminile, Rachel, per dar loro una scossa, per metterli in moto. Quanto alla signora Higgins, l’ho aggiunta perché mi è piaciuto molto scrivere la sua parte. E’ una storia teatrale, con la quale ho convissuto per dieci anni, scritta non pensando al lettore. Ritengo una casualità che sia uscito prima il libro dello spettacolo. Mi è stato di grande aiuto scrivere per qualcuno (ogni tanto pensavo a Balasso), perché non sono un drammaturgo di professione. Avevo scritto – continua Baricco – solo due altri lavori. Un monologo, “Novecento” e “Palamede”, un testo per 14 attori che riproporrò quest’estate a Roma e in giugno al teatro Romano di Verona. Sono contento di lavorare in sinergia col teatro, perché mi piace essere dentro di un sistema produttivo. A volte pensavo a cose difficili da realizzare, per Vacis e Tarasco, non tanto per metterli in difficoltà, ma per stimolare la loro creatività. E’ anche vero che mandavo loro una scena per volta, per suscitare le loro reazioni».

La messa in scena è fedele al testo, mantenuto interamente, a parte qualche piccolo taglio per questioni di ritmo. Lo spettacolo dura cento minuti senza intervallo tra il primo e il secondo atto e scivola via senza che lo spettatore dia mai un’occhiata all’orologio. E già questo è un primo motivo di merito. Gli attori si calano con intelligenza nel loro personaggio, lo vivono intensamente, professionisti capaci nel saper mutare il loro stato d’animo. Perché la storia, sostanzialmente molto triste, ha un sacco di sfumature: è ironica, romantica, sentimentale, anche se Baricco, mentre la scriveva, rideva moltissimo. Sorride e ride anche il pubblico, per la presenza di Natalino Balasso, un carattere solare che finisce spesso per suscitare o riesce a tirar fuori la risata nascosta anche dalle persone apparentemente serie o seriose. 

Tom Smith (Balasso), amabile furfante di professione meteorologo, ricercato in quattro stati dell’Unione, arriva alle cascate del Niagara, posto turistico, sperando di inventarsi qualcosa di fruttifero con l’aiuto di Jerry Wesson (Fausto Russo Alesi), chiamato Il Pescatore, perché abile a recuperare dal fiume esseri senza vita. La loro fama arriva alle orecchie di una giovanissima (23 anni) aspirante giornalista, sfruttata e delusa per essere trattata in redazione come una serva, senza intravvedere un’opportunità di affermazione. Rachel (Camilla Nigro, 22enne torinese, diplomatasi al teatro Stabile di Torino) con pochissimi dollari intasca, pensa di buttarsi – per sopravvivere e non per spirito suicida – dalle cascate, così da far parlare di sé, diventar famosa e finalmente poter dimostrare il suo talento di giornalista e scrittrice. Si farà aiutare da Tom e Jerry, ma il salto tra le rapide, dentro a una botte di birra nel giorno del solstizio d’estate, il 21 giugno 1902, avrà un finale tutt’altro che roseo. 

Ecco allora arrivare il personaggio nell’ombra, sempre invocato, ma mai apparso in scena. La signora Higgins, per la quale Baricco dà precise indicazioni nella didascalia descrittiva, nel lungo monologo commenta l’accaduto ricordando Rachel Tom e Jerry. «Piccola Rachel… Davvero si sarebbe meritata un giorno di gloria, lei e quegli altri due matti, sa il cielo come mi mancano. Ma non è andata così, spesso non va così. Si semina, si raccoglie, e non c’è nesso tra una cosa e l’altra. Ti insegnano che c’è, ma…non so, io non l’ho mai visto. Accade di seminare, accade di raccogliere, tutto lì. Per questo la saggezza è un rito inutile e la tristezza un sentimento inesatto, sempre. Seminammo con cura, tutti, quella volta, seminammo immaginazione, e follia e talento. Ecco cosa abbiamo raccolto, un frutto ambiguo: la bella luce di un ricordo e il privilegio di una commozione che per sempre ci renderà eleganti e misteriosi. Voglia il cielo che questo basti a salvarci, per tutto il tempo che ci sarà dato, ancora».   

Di grande impatto il salto nel vuoto, con tutto quello che ne consegue, luce, buio, rumore d’acqua, rapide e cascate. E il telone sopra la testa degli spettatori (solo nella prova generale, bloccato dal comando dei carabinieri perché non ignifugo) a simboleggiare l’acqua che li sommerge perché secondo la didascalia nel libro «il teatro diventa la botte, e finisce in mezzo alle rapide. Il teatro scivola nella corrente, salta dall’orlo delle cascate e dopo un volo di cinquanta metri piomba in acqua, scomparendo nei gorghi».

Si tratta di un buon lavoro corale, con un riscontro positivo da parte di chi assiste, grazie ad un quartetto di bravi attori, ad un regista meticoloso, ad uno scenofono pieno di idee e attento al particolare, ad una valente costumista (Federica De Bona) e ad una serie di persone non meno importanti dietro le quinte. Baricco, dopo la prima, è apparso soddisfatto e felicemente stupito nel vedere come Vacis sia riuscito a far emergere la drammaticità di una storia che all’autore, mentre la scriveva, faceva solo ridere da pazzi.