Aiscat, pronti 60 mld investimenti in 15 anni nelle autostrade

Rimane inevasa la necessità di portare anche in Italia la liberalizzazione delle tratte ammortizzate a concessione scaduta.

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L'assemblea Aiscat 2023 con il presidente Diego Cattoni.

«Sessanta miliardi in quindici anni. E’ questa la mole di investimenti che il mondo delle autostradeitaliane in concessione è in grado di mettere a terra con un duplice obiettivo: garantire il rilancioeconomico del Paese e ridisegnare i modelli di mobilità nel segno della digitalizzazione e della transizione ecologica» ha sottolineato il presidente di Aiscat (e di Autobrennero), Diego Cattoni, evidenziando al termine dell’assemblea dei soci il contributo che il comparto autostradale italiano è pronto a dare fin da subito.

Con un’estensione complessiva di 6.077 km (pari all’87% circa dell’intero sistema autostradale italiano), le autostrade in concessione costituiscono il 3% della rete stradale primaria del Paese, ma assicurano un quarto della mobilità nazionale, a lungo, medio e corto raggio. «Rappresentano – ha ricordato il presidente di Aiscat – la prima infrastruttura nazionale della mobilità».

Un comparto che si trova alla vigilia di una vera e propria svolta. «Il settore della mobilità – ha osservato Cattoni – è oggi alla vigilia di quella che potrà essere una vera e propria rivoluzione come non si vedeva dal dopoguerra. L’evoluzione tecnologica, unita ad una nuova sensibilità sul fronte ambientale, permette di costruire fin da subito un futuro assai diverso dal presente che conosciamo e il comparto delle autostrade in concessione è in grado di garantire in tempi rapidi gli investimentinecessari senza gravare sulla fiscalità generale». E ci mancherebbe con l’enorme volume di introiti garantiti ogni anno da pedaggi sempre più cari a fronte di servizi e qualità delle autostrade in continuo calo.

Aiscat parla di 28,1 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2000-2021, 13,5 miliardi di euro di manutenzioni ordinarie nel periodo 2000-2019. «La novità – ha sottolineato Cattoni – sta non solo nella mole di potenziali nuovi investimenti, ma nel tipo stesso di investimento. Avremo certo nuoveopere e l’ampliamento delle attuali, ma abbiamo la possibilità di pianificare la digitalizzazione della rete. La guida autonoma e connessa ci permetterà non solo di aumentare la capacità delle arteriesenza uso di ulteriore suolo e di rendere più veloci gli spostamenti, ma soprattutto di abbattereradicalmente il tasso di incidentalità oggi per lo più legato al fattore umano». Sorvolando che per centrare la guida connessa serve un profondo rinnovamento di tutto il parco circolante, ben lungi dall’essere realtà nei prossimi decenni.

«Il controllo digitale del traffico – ha detto ancora Cattoni – ci permetterà quel salto di qualità che ancora manca. Così il sostegno alla diffusione di veicoli elettrici, oggi a batteria domani anche a idrogeno, ci può permettere di ridurre drasticamente le emissioni inquinanti» ignorando che l’elettrificazione della mobilità si limita solo a spostare l’inquinamento, per giunta aumentandoloinvece di ridurlo.

All’assemblea Aiscat Cattoni ha glissato sul fatto che l’Italia rimane ancorata a concetto del rinnovo continuo delleconcessioni, quando sarebbe logico, giusto e doveroso che le autostrade realizzate inconcessione, una volta ammortizzate, tornassero in mano allo Stato, diventando a liberacircolazione senza più gabelle feudali. Se c’è riuscita la Spagna non si capisce perché non lo possa fare anche l’Italia.

Sempre che il ministro alle Infrastrutture, il leghista Matteo Salvini intervenuto all’assemblea Aiscat, non preferisca l’appiattimento sulle posizioni dei feudatari autostradali piuttosto che sulle esigenze di cittadini ed imprese, che per la mobilità già pagano i carburanti più cari d’Europa grazie all’abolizione del taglio di 30 centesimi sulle accise votato anche dalla sua Lega, tasse di proprietà regressive e una burocrazia asfissiante.

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La stretta di mano tra il president edi Aiscat, Diego Cattoni, e il ministro alle infrastrutture, Matteo Salvini.

All’assemblea Aiscat è intervenuto anche l’amministratore delegato di Aspi, Autostrade per l’Italia, passata dalla galassia Benetton alla Cassa depositi e prestiti, che ha presentato in una tavola rotonda le iniziative della più grande concessionaria autostradale italiana, uscita pressoché indenne dallo scandalo del crollo del ponte Morandi di Genova, oltre che del mancato rispettodegli impegni per la manutenzione straordinaria e ordinaria della rete di sua competenza. Per Roberto Tomasi «le previsioni di Pef stimano al 2038 un valore complessivo di interventi per 21 miliardi di euro per due ambiti di sviluppo. Numerose tratte della rete Aspi sono oggi ai limiti della propria capacità di trasporto e in assenza di potenziamenti per l’aumento della capacità sarebbero ancora più penalizzate. Per queste infrastrutture sono disponibili progetti di allargamento in sede(terze e quarte corsie, passante di Bologna) o fuori sede (Gronda di Genova)» pari a circa 250 chilometri di potenziamenti da realizzare nel piano del gruppo.

Inoltre, investimenti di «manutenzione rigenerativa – già in avanzata fase di attuazione nel piano, sono finalizzati a migliorare le prestazioni delle strutture in ottica di un mantenimento e miglioramento continuo della sicurezza» ha detto Tomasi.

Nel piano ci sono poi circa 270 chilometri di ammodernamenti per le gallerie da realizzare su un totale di 365 chilometri e circa 100 chilometri di ammodernamenti per ponti e viadotti da realizzare su 270 chilometri. «La nostra infrastruttura autostradale è composta da un 25% di gallerie, mentre in Europa siamo al 3%, la complessità è notevole e c’è bisogno di intervenire con opere di ammodernamento» ha puntualizzato Tomasi.

Aspetto dolente della privatizzazione fallimentare voluta dai governi Prodi delle autostrade e lasuccessiva gestione da parte del gruppo della famiglia Benetton è la voce investimenti mancati sulla rete: «Germania e Francia negli ultimi 20 anni – ha concluso Tomasi – hanno investito il doppio di noi. Gli iter autorizzativi di oggi portano via decine di anni. Il codice degli appalti deve dare certezza agli appaltatori e dobbiamo ricostruire la fiducia tra pubblico e privato aiutando le imprese e investendo nella capacità ingegneristica».

Ma forse, sarebbe l’ora che lo Stato tornasse a svolgere appieno il proprio compito, tornando a gestire direttamente le infrastrutture assicurando gli investimenti e tagliando i costi a carico degli utilizzatori, che anche nel passato recente si sono solo tradotti in ricchissimi ed ingiustificati utili solo a favore degli azionisti.

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