Riapre al pubblico la “Torre di Piazza” a Trento

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Trento-Torre-civica-ilnordestDopo 156 scalini si arriva al decimo livello con una vista superba sul centro storico della città. Visite contingentate e solo per chi è in perfetta forma fisica

Fino a lunedì 30 settembre sarà nuovamente possibile visitare la “Torre di Piazza”, un monumento di grande valenza storica e identitaria che da secoli rappresenta un simbolo inconfondibile della città di Trento. Eretta intorno alla seconda metà del XII secolo sui resti dell’antica Porta Veronensis (I secolo d.C.), la Torre di Piazza, detta anche Torre Civica, era inizialmente parte integrante della prima residenza vescovile, di cui costituiva un baluardo difensivo.

Nel corso dei secoli, tuttavia, la Torre assunse anche altre funzioni, fino a divenire un fondamentale punto di riferimento per tutta la città: l’edificio fu sede dell’orologio (documentato dal 1448) e delle campane, che con i loro rintocchi scandivano il tempo del vivere civile, chiamavano a raccolta gli abitanti e il consiglio generale della città, annunciavano le adunanze del podestà, l’emanazione delle sentenze e avvertivano la popolazione in caso di incendio. Dall’inizio del XIV secolo e per larga parte dell’Ottocento la torre ospitò anche le carceri cittadine. Tra il 2009 e il 2011 la Torre di Piazza, di proprietà del Comune di Trento, è stata oggetto di un complesso intervento di restauro.

torre 32 1Fino alla seconda metà del XII secolo, l’edificio fortificato, a pianta quadrangolare, con lato variabile tra i 7,60 e gli 8 metri, in questa prima fase presentava un’altezza fuori terra di m. 22,7 e uno spessore murario di circa 2 metri. La torre era conclusa da merli a sommità squadrata negli angoli con un rialzo murario esterno di m. 1,40 secondo le regole del sistema di difesa piombante o per caduta (ovvero l’utilizzo di qualunque corpo, sufficientemente pesante, che per effetto della gravità, scagliato dall’alto, diventava una temibile arma). L’edificio era di proprietà vescovile. Vi si accedeva attraverso una porticina sopraelevata ubicata sul prospetto sud; l’ingresso era protetto dalla corte con cinta muraria che collegava la torre al Palazzo vescovile.

Dalla fine XII – inizio XIII secolo si colloca la prima sopraelevazione della torre che passa da 22,7 a 30 metri d’altezza; l’edificio è ancora concluso da merli a sommità squadrata negli angoli. La porzione aggiunta presenta uno spessore murario inferiore al precedente (m. 1). La presenza sui lati sud e nord di due serie di fori pontai aperti fa pensare che la torre disponesse di una struttura lignea aggettante. La funzione difensiva dell’edificio viene ora rafforzata dall’apertura, al centro dei prospetti ovest ed est, di strette feritoie strombate verso l’interno, dalle quali è possibile orientare meglio il tiro e acquisire maggiore accuratezza nella mira. Nel 1224 viene menzionata per la prima volta la presenza di una campana, suonata per convocare in assemblea i cittadini: la torre inizia così a diventare un importante punto di riferimento per la collettività.

È nel corso del XIV secolo che la torre, sopraelevata di altri 15 metri, raggiunge l’attuale altezza (m. 45). Nella parte sommitale dell’edificio viene introdotto un importante elemento di architettura fortificata: un “apparato a sporgere” dal profilo della muratura perimetrale che si regge su un sistema a beccatelli, costituito da mensole in pietra e archetti in laterizio, concluso con una merlatura a scalare di coronamento, che il Dürer documenta un secolo più tardi (1494). Il prolungamento a sbalzo, verso l’esterno, del piano di calpestio della piattaforma di osservazione, forse protetta da una copertura in legno, consentiva di ricavare nel pavimento apposite aperture (caditoie) dalle quali effettuare il “tiro piombante”, restando al riparo del parapetto. Un documento del 1321, relativo alla nomina di un tal Giovanni come custode delle carceri, attesta la funzione ad uso detentivo della torre. Funzione confermata anche nei secoli successivi.

Scarsamente ricordata nei documenti del XIV secolo, la torre riappare nelle fonti nei primi anni del Quattrocento quando ne è affidata l’amministrazione al comune cittadino. Nella sentenza emanata il 29 marzo 1427 dal vescovo di Trento Alessandro di Masovia, tra i vari obblighi ai quali erano tenuti i cittadini e le comunità della pretura, si ricordano anche le prestazioni richieste per i ripari della Torre di piazza, delle campane, e per l’ampliamento della piazza medesima.

La necessità di un tempo più esattamente misurabile, che regoli il vivere civile, aveva imposto ovunque la sostituzione delle imprecise e mutevoli meridiane con orologi meccanici. Al tempo della Chiesa, ritmato dai sacri uffici e dalle campane che li annunciano, si contrappone quello che lo storico francese Jacques Le Goff definisce il “tempo del mercante”, urbano e laico, scandito dall’orologio della torre. L’attestazione più antica della presenza di un orologio meccanico sulla Torre di Piazza risale al 1448 quando la sua regolazione viene affidata a un tal Bonazunta.

La valenza civica dell’edificio è rafforzata dalla presenza delle due campane, “della renga” (anche detta campana “della rexon”) e “della guardia” (o campana “delle hore”), rinnovate nel 1499 per volere dei consoli: venivano suonate l’una per convocare a raccolta i cittadini e il consiglio generale della città, l’altra per annunciare le adunanze del podestà, l’emanazione delle sentenze e per avvertire la popolazione in caso di incendio. Sulla campana detta “della guardia”, tuttora esistente, compare l’immagine del ‘Simonino’ con gli strumenti di tortura.

Al vescovo, che continua ad essere il proprietario della torre, compete la custodia dell’edificio e delle carceri. Nell’ultimo trentennio del Quattrocento il massaro vescovile registra spese per la costruzione di nuovi locali di detenzione, alcuni dei quali – ubicati in ambienti esterni alla torre – destinati alle donne: l’intervento comporterà una sostanziale modifica dell’assetto distributivo interno dell’edificio. La Torre di piazza fu per secoli uno dei principali luoghi di detenzione della città di Trento. Tale funzione è attestata a partire dall’inizio del XIV secolo, quando le fonti documentarie iniziano a citare le carceri esistenti nel fondo della torre di piazza e la presenza di un custode, mansione che rimane di diretto controllo vescovile fino al XV secolo.

Nel medioevo l’incarcerazione poteva avvenire in conseguenza di infrazioni al diritto penale e a quello civile: la materia era regolamentata dagli statuti che, a Trento, risalgono alla prima metà del XIV secolo. Gli statuti indicano spesso i reati per i quali è prevista la pena detentiva, quasi sempre in sostituzione di una pena pecuniaria non assolta; con minor frequenza citano invece i luoghi di incarcerazione. Coloro che avessero commesso reato di ingiuria nei confronti degli ufficiali del comune e non potessero assolvere la pena pecuniaria comminata, ad esempio, dovevano scontare 15 giorni di reclusione “in fondo turis”. La pena pecuniaria per coloro che avessero procurato danni alle case provocando incendi variava da 10, 25 e 50 lire, commutate rispettivamente in 15 giorni, tre e sei mesi di detenzione.

Nei primi anni del XVI secolo, la custodia delle prigioni passa di competenza al comune di Trento, che già dal Quattrocento aveva in affidamento la gestione e manutenzione delle campane e dell’orologio della torre. L’utilizzo della torre per la custodia dei carcerati perdura anche dopo la secolarizzazione del Principato vescovile nel 1803, durante il periodo della reggenza italica e per larga parte dell’Ottocento sotto l’amministrazione austriaca.

I più antichi riferimenti documentari sulla presenza di un orologio sulla Torre di piazza risalgono al 1448 quando a un tal Bonazunta viene affidata la sua regolazione; costui però si dice impossibilitato ad assolvere l’incarico per le precarie condizioni della scala di accesso ai piani superiori. L’orologio a cui si allude, come larga parte degli orologi meccanici medievali, era costituito da un meccanismo che permetteva la battuta delle ore sulla campana grande della torre; prevedeva la battuta delle ore a sequenze prestabilite, calibrate sul ciclo naturale dei giorni. Poiché il tramonto varia a seconda delle stagioni era necessario provvedere periodicamente alla regolazione delle ore.

La manutenzione dell’orologio, ancora ai primi del Cinquecento, era affidata ad artigiani, di solito dei fabbri ferrai, che avevano abilità nella gestione e manutenzione delle attrezzature meccaniche. Non a caso l’incarico di regolamentazione dell’orologio era spesso associato a quello di manutenzione della stadera pubblica, ovvero del complesso sistema dei pesi utilizzati quotidianamente nel mercato cittadino.

Dai primi anni del XVI secolo la torre viene dotata di un nuovo orologio con l’indice delle ore, rinnovato per volere dei consoli nel febbraio del 1546: questo è probabilmente l’orologio che si vede rappresentato sulla torre nella pianta prospettica edita da Giacomo Andrea Vavassore nel 1572 e che ritroviamo riproposto nella pianta prospettica di Georg Braun e Franz Hogenberg del 1581, esposta in mostra.

Nel corso dei secoli il meccanismo dell’orologio ed i suoi quadranti sono sottoposti a continui interventi di manutenzione, riparazione e sostituzione, tra i quali ricordiamo l’installazione di un nuovo meccanismo nel gennaio del 1859 (in quell’occasione fu realizzato il terzo quadrante sul prospetto est) e l’introduzione di un moderno orologio con impianto elettrico di comando nel 1960. L’attuale meccanismo, rientrato in funzione dopo l’intervento di restauro, risale invece al 1970.

L’accesso alla torre avviene dal secondo piano di Palazzo Pretorio, sede del Museo Diocesano Tridentino: da qui inizia una risalita non sempre agevole, ma ricca di suggestioni e sorprese. Al suo interno, infatti, la Torre non è cava, ma suddivisa in undici livelli, collegati tra loro da ripide scale: durante la visita, superando un dislivello di 156 scalini, si potrà arrivare al decimo piano, quello che ospita le due campane. Nel percorso di risalita, della durata di circa 45 minuti, il visitatore potrà attraversare i diversi ambienti che caratterizzano la torre, osservare la città dall’alto e scoprire sulle pietre e sugli intonaci le silenziose tracce lasciate dai carcerati: firme, strani graffiti, semplici disegni, piccole croci. Nella torre il tempo sembra essersi fermato e la sensazione di vivere un istante sospeso è acuita dai rumori attenuati e lontani che giungono dalla città.

Le specifiche caratteristiche del percorso di risalita hanno reso necessario un accesso contingentato del pubblico, che potrà visitare l’edificio solo con visita guidata e secondo turni prestabiliti: tutti i giorni, ad esclusione del martedì, fino al 30 settembre 2013, alle ore 16.00 (I turno) e alle ore 17.00 (II turno). I posti disponibili per ciascuna visita saranno limitati ad un massimo di otto partecipanti e per motivi di sicurezza la visita alla torre sarà preclusa ai minori di anni 10, alle scolaresche e a gruppi organizzati.

Va tenuto presente che la visita alla Torre non è un’esperienza alla portata di tutti: è infatti sconsigliata alle persone con difficoltà motorie, ai cardiopatici, agli asmatici, a chi soffre di vertigini e di claustrofobia. I minori di 18 anni saranno ammessi, ma solo se accompagnati da un adulto. Va infine ricordato che la partecipazione alla vista è subordinata alla sottoscrizione di una liberatoria con cui il visitatore, informato circa le caratteristiche del percorso di risalita alla Torre, dichiara di assumersi ogni responsabilità per eventuali incidenti causati da comportamenti scorretti o condizioni fisiche non adatte alla visita. Il prezzo del biglietto per la sola visita alla torre è di 7,00 euro, ma con appena 3,00 euro in più sarà possibile acquistare il biglietto combinato che consente di visitare anche il Museo Diocesano Tridentino.