Calato il sipario su “Venezia Jazz Festival”

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Corea-Chick-by-Lynne-Goldsmith-ilnordestConclusione della VI edizione con i concerti di Chick Corea e del Saverio Tasca trio
di Giovanni Greto

Forse era stanco, poiché si trattava dell’ultimo concerto di un tour per piano solo. Ma anche a Perugia, in coppia con Herbie Hancock, occhi affidabili avevano visto due (ex) grandi gigioneggiare, piuttosto che raccontare qualcosa per mezzo dello strumento. Proprio quello che è mancato a Venezia in un teatro Goldoni occupato forse per metà. Ma questa volta ha avuto ragione chi non c’era.

In buona forma fisica a dispetto dei 72 anni d’età, il pianista nato a Chelsea, nel Massachusetts, ha iniziato con una medley di due suoi pezzi famosi, ‘Sometime Ago’ e ‘La Fiesta’, che risalgono alle ‘Piano Improvisations vol.1’ del 1971 (ECM) e al primo, non ancora così elettronico, ‘Return to forever’, del 1972 (sempre ECM). A sorpresa, poi, ha interpretato uno standard, ‘Someday my prince will come’, dopo il quale si è rivolto al pubblico elencando i pezzi suonati e attribuendo lo standard alla penna di Miles Davis. E’ la volta di ‘Armando’s Rumba’, uno dei suoi famosi pezzi latini, che precede un trittico di composizioni monkiane, tra le quali l’immancabile ‘Trinkle Tinkle’, presente nel volume 2 delle ‘Piano Improvisations’, e ‘Blue Monk’, che lo induce all’esecuzione di un blues per concludere il primo tempo. Sono passati 42 minuti, sufficienti a capire che sarebbe stato meglio optare per un unico set, arrivando ad un’ora o poco più. Invece, al rientro in scena dopo l’intervallo, Corea inizia a chiedere che cosa la platea voglia sentire. Parte una raffica di titoli, tutti disattesi, a parte l’iniziale ‘Bud Powell’, di Corea, che forse ha accontentato chi aveva richiesto un brano dello sfortunato pianista. Segue un omaggio, assai prolisso, a Paco de Lucia, il ‘Preludio n. 4’ di Aleksandr Skrjabin, ampliato da improvvisazioni, alcune ‘Children’s song. Applausi e, ahimè, il pianista ritorna sul palcoscenico per far cantare il pubblico su cinque tonalità, tre per le donne, due per gli uomini. Un brano improponibile, utilizzato spesso da chi è a corto di idee. Corea ne sembra da tempo privo. Ma grazie al nome, alla bravura, che non è in discussione, un tocco nitido e un senso ritmico che deriva forse da una predilezione per la percussione – Corea ha inciso anche un disco come batterista e vibrafonista, ‘Super nova’(1969), di Wayne Shorter – il musicista americano di origini italiane può continuare ancora a girare per il mondo, pur non regalando emozioni agli appassionati di Jazz e buona musica, facendo trascorrere una serata in allegria, grazie ad un karaoke intelligente, indirizzato a quella fetta di pubblico che va ad un concerto per passare una serata diversa dal solito, spesso senza sapere che cosa o chi andrà ad ascoltare.

L’ultimo concerto della sesta edizione del festival ha presentato un interessante nuovo progetto, il trio Mediterre del vibrafonista e percussionista Saverio Tasca di Bassano del Grappa. Abbandonato il quartetto Juracamora, con il quale cinque anni fa si era presentato alla platea del festival lagunare, Tasca con questo nuovo trio intende prendere musiche della tradizione mediterranea per trasportarle nella musica improvvisata. Nella quiete del giardino della Fondazione Peggy Guggenheim il trio ha proposto composizioni del leader, tratte da melodie greche (‘Sospiri’ e ‘Lamperos ilios’), ispirate alla Spagna (‘Pesca andalusa’) o all’Albania (‘Albania’). Tutte molto ben eseguite, con un impeccabile interplay ed un’attenta lettura di temi non semplici. In scaletta anche tre convincenti pezzi del contrabbassista, l’iniziale ‘Prayer for a friend’, ‘New Hope’ e il conclusivo ‘No more’, un’invocazione collettiva che ponga fine alle guerre. Gradevole la trascrizione moderna di ‘Gracieusement’, un pezzo barocco del compositore francese Joseph Bodin De Bois Mortier, che ha ricordato le frequenti incursioni, più o meno felici, del Jazz nel territorio classico. Complimenti dunque a Tasca, poiché fa conoscere la sonorità morbida di strumenti come il vibrafono e la marimba, che non hanno modo di apparire con frequenza nel repertorio creativo, sia dal vivo che in studio, della musica Jazz.