L’economia del Veneto vista attraverso gli occhi delle PMI della regione

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flavio Lorenzin presidnete Confapi vicenza 1Lorenzin (Vicenza), Alberto (Verona) e Roccato (direttore Veneto Api Industria)

Come “gira” l’economia del Veneto secondo i principali protagonisti del settore, ovvero la Piccola e media impresa (Pmi) della regione? Ecco nelle interviste che seguono il parere di tre diversi protagonisti delle province di Verona, Vicenza e del direttore regionale della categoria.

Per Flavio Lorenzin, presidente di Confimi Vicenza e vicepresidente di Confimi Impresa (Confederazione dell’industria manifatturiera italiana e dell’impresa privata) con delega alla semplificazione e ai rapporti con la pubblica amministrazione, a capo di un’azienda metalmeccanica con 23 dipendenti e un fatturato di circa 4 milioni di euro, «la situazione per il nostro comparto non è troppo male, anche se il maggior problema è nella mancanza di una programmazione a media scadenza. Oggi si è costretti a lavorare troppo spesso sul contingente, con un portafoglio ordini ridotto. Gli ordinativi tutto sommato ci sono, anche se ora valutiamo con grande preoccupazione gli effetti che potrebbero derivare al tessuto produttivo del NordEst dagli embarghi alla Russia stabiliti dall’Unione Europea. E ciò è un vero peccato, se si considera tutti gli sofrzi fatti e le difficoltà superate per entrare in un mercato difficile ma molto ricco come quello russo». Lorenzin amplia lo sguardo anche verso i mercati più lontani: «è giocoforza operare su un mercato sempre più globale, visto che quello interno è ridotto ai minimi termini per la mancanza di fiducia e di liquidità. Bisogna guardare sempre più lontano, visto che le aree tradizionali di sbocco delle nostre merci sono o in crisi (buona parte dell’Unione Europea) o sotto embargo (Russia) o in guerra (Nord Africa e Medio Oriente. Ciò comporta per le aziende nuovi sforzi e costi per entrare su un mercato nuovo».

Esportare è il nuovo filone per tutte le Pmi: «se si vuole fare bilancio alla fine anno, è obbligatorio rivolgersi verso mercati che pagano o verso quelle aree coperte dagli interventi assicurativi della Sace, cosa che permette anche di accedere al credito bancario con più facilità perché c’è la certezza dei pagamenti – sottolinea Lorenzin – mentre sempre più spesso le nostre aziende scelgono di non lavorare per il mercato interno vista la situazione dei pagamenti. Se oggi qualche cliente non vuole pagare è quasi libero di farlo, visto che il sistema giudiziario e bancario non tutela con sufficiente forza il credito. Mentre sulle esportazioni si è pagati a 30 giorno o anche meno, in Italia spesso non s’incassa prima di 90 giorni e il primo motivo di fallimento per una Pmi oggi è l’incapacità di incassare i crediti vantati».

Come si può uscire da una situazione che sembra aggravarsi di giorno in giorno? Per Lorenzin «è indispensabile un’iniezione di fiducia, smettere di dire che tutto va male. In Veneto la situazione è migliore che in altre parti dello Stivale, la Regione ha messo liquidità nel sistema delle imprese, le quali hanno risorse sufficienti, ma il problema è sul lato del consumatore finale che è sempre molto, troppo riflessivo e preferisce attendere e risparmiare piuttosto che attuare nuove spese». La fiducia va di pari passo con «una decisa riduzione della pressione fiscale gravante sulle aziende e sui cittadini – dice Lorenzin – attuata mediante una riduzione strutturale della spesa pubblica che negli ultimi vent’anni è cresciuta troppo. E’ necessario sfrondare un apparato burocratico che si autoalimenta, scaricando sui contribuenti e sulle aziende un carico burocratico inutile che alla fine genera solo incertezza e nuovi costi». Infine, «è necessario agire anche su certe normative assurde, come la responsabilità solidale negli appalti, per cui in una catena di aziende tutte dovrebbero essere corresponsabili del rispetto delle norme, cosa che di fatto è impossibile per un imprenditore, cosa che apre a possibili interventi da parte della magistratura penale oltre che da parte del Fisco» conclude Lorenzin.

Per Arturo Alberti presidente di Confimi Impresa di Verona e vicepresidente nazionale di categoria, l’economia scaligera «sembra dare qualche segnale di ripresa, c’è la speranza che qualcosa volga in positivo, anche se si tratta di dati non ancora stabili e ciò deve portare a cautela nell’esprimere ottimismo. Verona è comunque un’isola felice nel panorama nazionale, anche perché il tessuto produttivo locale è abbastanza variegato».

La Legge di stabilità per Alberti «di primo acchito non sembra aver interessato temi utili per le Pmi, che abbia posto le basi per creare condizioni di competitività delle Pmi italiane al pari di quelle europee. In Italia le imprese soffrono di deficit infrastrutturale, di eccesso di burocrazia, di costo dell’energia superiore del 35% rispetto alla media europea, di costo del lavoro più alto in assoluto e delle buste paga più basse. Il taglio dell’Irap sembra positivo, anche se ciò può essere controbilanciato da tagli in altri settori afferenti all’impresa». Per Alberti «il vero problema per le imprese italiane è l’eccesso di burocrazia, con il paradosso che nel settore delle Pmi ormai sono più gli addetti alla burocrazia che alla manifattura, cosa che incide pesantemente sulla competitività dei prodotti».

L’Italia è la seconda realtà manifatturiera d’Europa «nonostante i problemi che ci portiamo dietro – commenta amaramente Alberti -: si pensi cosa potrebbe essere l’Italia e il suo settore produttivo se solo il sistema burocratico-amministrativo-fiscale fosse meno opprimente sulle aziende». Un’oppressione che viene aggravata anche «dall’approvazione di certe norme di cui non è stato valutato appieno il loro effetto prima della loro approvazione – dice Alberti – bisognerebbe intervenire sulla pubblica amministrazione in modo deciso, perché spesso è autoreferenziale e replicante».

Cosa fare per rilanciare l’economia? «Poche cose: in Italia serve – elenca Alberti – meno fiscalità, minor costo del lavoro, minore burocrazia, chiarezza nelle leggi e nella loro applicazione, minori costi dell’energia. L’Italia è un paese privo di materie prime che deve il suo successo alla sua capacità di trasformazione; per vincere sui mercati sempre più competitivi e globalizzati dobbiamo essere competitivi e ciò si raggiunge con un comparto pubblico che non vessi ingiustamente quello produttivo. Inoltre, serve una politica seria d’infrastrutturazione del territorio, dalla strada al ferro, dall’aria all’acqua, perché una realtà come quella veneta è ferma alle opere pubbliche decise negli anni Settanta dello scorso secolo: da allora ad oggi, poco si è fatto e anche quel poco è tenuto spesso in cattive condizioni».

Ampliando lo sguardo su tutta la regione Veneto, utile l’osservatorio di Pier Orlando Roccato, direttore di Api industria Veneto: «la situazione per le Pmi é difficile, con le imprese che soffrono per la mancanza di credito, per le difficoltà produttive e per il sottodimensionamento delle imprese che le escludono dalla competitività internazionale, dalla Cina agli Usa, con la Russia in fortissima sofferenza per via dell’embargo. In regione ci sono circa 200.000 disoccupati, in crescita del 10% con oltre 100 milioni euro di Cassa integrazione. Un indice di disoccupazione che tenderà ad aumentare da qui a fine anno con situazioni di crisi che sfoceranno in ulteriori licenziamenti».

Roccato guarda con scetticismo alla Legge di stabilità: «purtroppo questa non affronta con la giusta decisione i nodi del sistema. Avremmo bisogno di scelte più coraggiose e decisive: abbiamo un costo del lavoro che è superiore del 25% rispetto alla media UE e difficilmente si potrà ridurre a breve. Le imprese devono ridurre al minimo la produzione perché il mercato non consuma, con il rischio di perdere professionalità all’interno delle aziende. Per noi la cosa importante è avere lavoro, credito e commesse, oltre che poter contare su una situazione di fiducia, cosa che attualmente manca».

Come se ne esce? «In modo piuttosto semplice agendo – sottolinea Roccato – su una vera politica di credito a favore delle imprese con le banche che eroghino finalmente credito, che si guardi più alla fiducia e alle prospettive che ai numeri di bilancio delle aziende (in questo momento disastrosi), altrimenti non se ne esce. Dall’altra, bisogna rivedere il costo del lavoro, tagliando di circa 10-15% per aumentare i redditi dei lavoratori, i quali possano così consumare di più. Un dipendente che guadagna 20.000 euro anno in busta paga costa all’impresa 35.000 euro. Senza agire su questi punti non possiamo essere competitivi. Con bassi salari non si può comprare e gli 80 euro sono stati messi da parte per pagare bollette e scadenze».

Anche il settore edile è in forte difficoltà: per Roccato «è necessario rilanciare il settore delle ristrutturazioni e riqualificazione di intere aree, perché ha un fortissimo indotto: ogni dipendente ne genera altri tre. A Mestre ci sono 4.000 appartamenti invenduti che sono di vecchio stampo che sono invendibili: per andare sul mercato devono essere riqualificati o, al limite, abbattuti per essere riedificati».

Roccato ha un giudizio duro anche sulle norme che regolano il fallimento: «da inizio anno sono fallite 4.000 imprese e oltre 10.000 sono in concordato. Il concordato in continuità è la più grande porcata inventata, che scarica i problemi dell’azienda richiedente sulle parti più deboli della catena della fornitura. Una stortura del sistema che va sanata al più presto. Un concordato in continutà fa morire tre imprese».