Scoperta una terapia immuno-cellulare contro il ritorno del tumore

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chiara bonini e team di ricerca san raffaele
Ricerca italiana presso l’Ospedale San Raffaele curata da Chiara Bonini presentata a Washington all’incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS)

 

chiara bonini e team di ricerca san raffaeleUn contributo della ricerca italiana nella scoperta di una terapia immuno-cellulare potrebbe rappresentare una svolta contro il ritorno del tumore. Lo studio presentato a Washington da tre ricercatori nel corso dell’incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), per la promozione della scienza è stato riportato con grande evidenza sulla stampa internazionale. 

Protagonista è Chiara Bonini, vicedirettore della Divisione di immunologia, trapianti e malattie infettive dell’IRCCS San Raffaele di Milano, che insieme a Fabio Ciceri, direttore dell’Ematologia e Trapianto di midollo osseo, ha coordinato uno studio con il quale è stato individuato nel sistema immunitario un tipo di cellula “memory stem T” capace di restare a lungo nell’organismo. Questa cellula, se geneticamente modificata per indurla ad attaccare le cellule tumorali, potrebbe proteggere l’organismo per molto tempo, forse per tutta la vita. 

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Science Translational Medicine”, è stato ora ripreso e riproposto in occasione della riunione annuale della American Association for the Advancement of Science (AAAS), una associazione legata alla rivista Science che ogni anno seleziona e propone alla stampa internazionale le tematiche più innovative. Proprio negli ultimi anni la ricerca contro il cancro ha trovato armi molto potenti nel sistema immunitario. E su questo tema nei giorni scorsi a Washington sono stati invitati a parlare tre relatori, uno americano e due europei, tra cui appunto Chiara Bonini. La scoperta della ricercatrice milanese, in particolare, viene giudicata “rivoluzionaria” da AAAS e dalla stampa internazionale. 

Nel loro studio clinico, i ricercatori del San Raffaele guidati da Chiara Bonini si sono concentrati su pazienti affetti da leucemia acuta che avevano ricevuto, a partire dall’anno 2000, un trapianto di midollo osseo da donatore familiare parzialmente compatibile. La sperimentazione prevedeva l’infusione di globuli bianchi del donatore, noti come “linfociti T”, modificati geneticamente al fine di poter fornire ai pazienti un nuovo sistema immunitario, capace di combattere la leucemia e difenderli dalle infezioni; e suscettibile di poter essere controllato nel caso di complicanze. A distanza di anni, i ricercatori sono tornati su quei pazienti, verificando che i loro parametri immunologici fossero uguali a quelli di soggetti sani e di pari età, prima di andare ad indagare quali cellule modificate geneticamente avevano resistito nel tempo, e individuando così un sottotipo di linfociti T capace di espandersi e perdurare negli anni. Queste particolari cellule, chiamate “memory stem T cells”, opportunamente “armate” contro le cellule leucemiche potrebbero tenere in remissione la leucemia acuta a lungo – secondo i ricercatori – anche per tutta la vita.

«Mi fa piacere che si parli molto di queste ricerche, anche a livello internazionale – spiega Chiara Bonini – perché sono ricerche molto costose e servono forti investimenti per portarle avanti. La nostra ricerca parte dal 2000 su pazienti affetti da leucemia acuta curati col trapianto di midollo e l’infusione di linfociti T del donatore modificati geneticamente in modo da renderli capaci di uccidere le cellule del tumore». Il concetto potenzialmente vale per ogni tipo di tumore, «ma per ognuno bisognerà studiare e sviluppare un particolare sottotipo di linfociti T persistenti». Il momento decisivo della ricerca è arrivato dopo anni. «Sapevamo da tempo – aggiunge Bonini – che è possibile “armare” geneticamente i linfociti T in modo che riconoscano ed eliminino le cellule tumorali con precisione ed efficacia. Ma quelli finora prodotti, pur bravi ad uccidere le cellule tumorali, subito dopo morivano a loro volta, lasciando l’organismo indifeso. Grazie a questo studio, invece, possiamo supporre che se “armiamo” geneticamente la sottopopolazione di “memory stem T cells”, queste sopravvivranno a lungo nel paziente, contribuendo a mantenere in remissione la leucemia».