L’economia italiana continua ad essere malata: in deflazione come nel 1959

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Nei primi sei mesi del 2016, l’indice dei prezzi è calato dello 0,2%. Forti cali nel settore dell’elettronica di consumo, dei prodotti energetici e anche degli alimentari

 

cgia spettro inflazioneL’economia italiana è malata e il paese è in deflazione, con i dati relativi ai prezzi al consumo che indicano un calo dello 0,2% nel I semestre del 2016. Continuando di questo passo, l’Italia farà registrare, per la prima volta dal lontano 1959, una variazione dei prezzi negativa. Solo che mentre nel 1959 il PIL italiano correva (+7%), adesso, dopo una lunga fase di crisi, la crescita economica è ancora a rischio tant’è che i centri studi e gli organismi internazionali stanno rivedendo al ribasso le già magrissime prospettive di crescita per il 2016 (tassi ben inferiori all’1%).

Secondo l’ultima analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, su 200 voci di prodotto analizzate la deflazione si è verificata in ben 68 casi. E, al di là di settori particolari come quello tecnologico dove il continuo rinnovamento dei prodotti consente, generalmente, la contrazione dei prezzi (computer fisso -12,7%) e dei prodotti energetici (gasolio auto -12,5% e benzina -7,6%) che hanno beneficiato di un prezzo del petrolio basso e al di sotto dei 50 dollari al barile per tutto il primo semestre del 2016, la deflazione ha colpito anche altri comparti di spesa, in particolare molti prodotti alimentari.

Pomodori (-7,2%), insalata (-2,4%), zucchero (-2,4%) e gelati (-2,0%) sono i prodotti che hanno visto la riduzione dei prezzi maggiore ma la lista degli alimentari con il segno meno è lunga: pesche/nettarine (-1,8%), cereali per colazione (-1,6%), arance (-1,4%), farina/altri cereali (-1,2%), banane (-1,2%), yogurt (-1,2%); scorrendo la classifica dei prodotti alimentari con il segno meno se ne contano quasi trenta.

«Il fatto che tanti prodotti alimentari abbiano subito un forte deprezzamento – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre, Paolo Zabeo – è indice delle difficoltà in cui versano le famiglie italiane. Nonostante i consumi abbiano registrato una leggera ripresa, rimangono molto lontani dai livelli raggiunti prima della crisi. Dal 2007 ad oggi, infatti, sono diminuiti di circa 6 punti percentuali. Nonostante il rafforzamento del “Quantitative Easing” da parte della Banca Centrale Europea, la domanda è ancora fiacca e questo influisce sul livello dei prezzi che continuano a scendere, riducendo in misura preoccupante i margini di guadagno delle imprese». 

Tra i prodotti che hanno subito i maggiori rincari la lista si apre con i servizi postali (+9,8%), i palmari/tablet (8,2%) che godono di una domanda in continua crescita, ma include anche alcuni alimentari come patate +8,2%, olio d’oliva +5,3%, mele +3,2% e pere +3,1%. Scorrendo la classifica dei primi 50 aumenti vi sono altri aspetti negativi per le famiglie alle prese con il pagamento delle bollette: fornitura d’acqua (+4,5%) e fognatura (+4,2%) rappresentano rincari che azzerano o quasi i vantaggi derivanti dalla riduzione dei prezzi del gas (-7,6%) e, in parte, dell’energia elettrica (-0,2%) avvenuti nel primo semestre del 2016. Tra l’altro, nel terzo trimestre del 2016 le tariffe di luce e gas potrebbero tornare ad aumentare (per il momento il TAR della Lombardia ha “congelato” gli aumenti ma per la decisione finale bisognerà aspettare il mese di settembre).

La Cgia ha anche mappato l’andamento dei pezzi per comune capoluogo di provincia. È stato possibile verificare come su 70 casi per cui erano disponibili i dati, in 45 comuni gli indici dei prezzi sono stati in flessione. La deflazione coinvolge, a macchia di leopardo, tutto il Paese e nel primo semestre del 2016 nemmeno le città del Nord e le metropoli si sono salvate dalla spirale deflazionistica: Milano (-0,5%), Torino (-0,4%) e Roma (-0,4%) sono casi emblematici; in testa alla classifica troviamo Vicenza (-0,8%) che condivide questo “primato” con Bari. Il fatto che la discesa dei prezzi coinvolga quasi tutto il Paese testimonia come nei consumatori prevalgano preoccupazioni e l’incertezza internazionale non favorisce la fiducia.       

In generale, segnalano dalla CGIA, nel primo semestre del 2016 il calo dei prezzi ha colpito molti prodotti. In quasi tutte le divisioni di spesa (11 su 12) rispetto alle 200 voci esaminate è stato individuato almeno un prodotto/servizio con variazione del prezzo negativa. Ma a preoccupare gli artigiani mestrini sono gli effetti della deflazione sulle piccole imprese. «L’artigianato, il piccolo commercio e in generale tutte le microimprese – conclude Zabeo – vivono quasi esclusivamente di consumi interni e la recessione ha purtroppo ridotto di molto la capacità di spesa degli italiani. Sebbene negli ultimi 2 anni ci sia stata una timida inversione di  tendenza, la domanda interna rimane troppo asfittica per far ripartire il Paese e il suo tessuto imprenditoriale. Oltre a rilanciare gli investimenti, servono delle politiche di forte riduzione delle tasse che favoriscano la spesa delle famiglie e, di riflesso, anche le piccolissime imprese».