Donald Trump XLV presidente degli USA

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donald trump pollice alzato 2
Successo su tutta la linea con 313 grandi elettori e il successo del voto popolare

 

Di Giuseppe Pace

donald trump pollice alzato 2Grattacieli e statua della libertà sono i due simboli peculiari di New York, dove sono stato due volte e ho ammirato i grattacieli della V Strada, ecc., che sono stati costruiti da Donald Trump. Dunque dire grattacieli, significa dire USA e di conseguenza Trump, non Clinton. Trump è il quarantacinquesimo presidente nella storia degli Stati Uniti d’America. Una vittoria netta quanto sorprendente quella del Tycoon, non pronosticata degli esperti e per quasi tutta la campagna anche dai risultati dei sondaggi.

Decisivo per Trump soprattutto il voto dei grandi elettori con un ampio margine sulla sua contendente Hillary Clinton per incassare l’elezione formale a presidente. La Clinton si è fermata a 218, dato incontrovertibile di una debacle spietata e inaspettata che ha lasciato di stucco gran parte dell’establishment a stelle e strisce, nonostante l’apparato messo in campo e una spesa elettorale praticamente tripla rispetto a quella di Trump. Dopo otto anni di governo democratico sarà un membro repubblicano il nuovo inquilino della Casa Bianca.

Con Trump vince l’America del potere finanziario dei grandi imprenditori. Se vinceva la Clinton, invece, vinceva il Paese delle lobby finanziarie e, per ultimo, il populismo adatto alla mentalità degli ultimi, dei diseredati del globo e dì molti artisti che li esprimono. Trump ha avuto il merito mantenere le roccaforti repubblicane, vincere il decisivo confronto negli Stati ancora in bilico (Florida ed Ohio), ma soprattutto strappare alla rivale alcuni Stati che sulla carta venivano considerati in mano ai democratici. Già dopo poche ore è stato chiaro che il vento stesse cambiando. I dati e le reazioni dei protagonisti confermavano che Trump stava riuscendo nel suo miracolo: vincere le elezioni seppur avversato da una rilevante parte del suo stesso partito. Le ultime fasi dello spoglio hanno trasformato le sensazioni in certezza: Trump ha chiuso incamerando i seggi di Stati come l’Alaska e l’Arizona storicamente repubblicani e di altri, il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania che dai sondaggi parevano predestinati ai democratici.

Anche il voto popolare, seppur molto più equilibrato, premia “The Donald”: è suo il 47,9% delle preferenze, contro il 47,3% della sua contendente. Un dato anch’esso inaspettato, ma che certamente sorprende meno rispetto a quello dei grandi elettori. Nonostante brusche variazioni il parere dei cittadini è sempre parso abbastanza in bilico, seppur pro Clinton. I titoli di coda sono arrivati però con la consueta telefonata da parte della sconfitta, cui ha fatto eco la prima dichiarazione da vincitore di Trump, molto poco nel suo stile, forse dettata dalla consapevolezza del cambio di ruolo: «Hillary ha combattuto sino alla fine, io sarò il presidente di tutti». 

I mass media americani hanno dato più notizie di Clinton che di Trump considerato quasi personaggio da baraccone oppure del vecchio West, ma non è così. False informazioni rilanciate via internet, ondate di documenti distribuiti da Wikileaks contro i democratici, l’entrata a gamba tesa dell’FBI sulle email della Clinton e l’assoluzione finale dell’ultimo momento arrivata domenica sera, quando oltre 40 milioni di americani avevano già votato, avranno sicuramente un peso sui risultati delle urne. Il fattore nuovo del 2016, che non ha avuto una portata decisiva per i democratici, sembrava rappresentato dal “voto latinos” in crescita del 27% rispetto al 2012. Questa risposta forte alle affermazioni di Trump sugli immigrati clandestini, in particolare messicani, definiti «criminali e stupratori» non si è verificata. I 220 milioni di aventi diritto al voto sui 318 milioni di statunitensi, hanno votato, nella maggioranza degli stati, Donald Trump. 

A mio parere Trump rappresenta il volto del sogno americano di divenire ricchi senza essere nobili come, invece, avveniva e in sordina avviene ancora in Europa, che gli americani definiscono fortezza medievale! Gli USA sono ancora una potenza mondiale e Trump rappresenta meglio il potere di mediazione anche con la Russia di Putin che lo preferisce alla Clinton, troppo diplomatica e poco affidabile che nella sua lunga carriera ha dimostrato ampiamente di essere “unfit”, inadatta al ruolo da ricoprire. 

A mio parere, la vittoria di Trump è similare a quella di un altro outsider, quel Ronald Regan dileggiato per la sua carriera di attore, ma che ha saputo realizzare il primo risorgimento dell’America dal “New Deal”, creando nei suoi otto anni di mandato un Paese prospero e potente, sicuro punto di riferimento del mondo. Ora, dopo gli otto anni dimenticabili della presidenza di Barak Obama, ci sono tutte le premesse perché un perfetto outsider della politica riesca nel ridare all’America e al mondo occidentale il suo ruolo di riferimento e di guida per tutto il Mondo.