Obbligatorietà del “Made in”: l’Italia non può perdere la guerra in Europa

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Lisa Ferrarini vice presidente confindustria 1Ferrarini: «serve determinazione a tutti i livelli per centrare l’obiettivo». Zaia: «una battaglia che non posiamo perdere, ma con questo governo è a rischio»

La questione dell’etichettatura della provenienza dei prodotti, da quelli alimentari a quelli tipici della produzione italiana, è nuovamente al centro dell’attenzione politica, visto che in Europa tira un venticello sempre più forte contro la certificazione della provenienza in etichetta.

Ad aprire i fuochi è stata la vicepresidente di Confindustria e responsabile del settore alimentare Lisa Ferrarini, la regina dei salumi italiani, che in audizione nella commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, ha ribadito la necessità di contrastare a qualsiasi livello la contraffazione sui prodotti italiani, valorizzando il ruolo del Consiglio nazionale anticontraffazione (Cnac). Per la Ferrarini, che in precedenza aveva sbottato affermano come la nomina della ministra agli esteri Mogherini al ruolo di commissario europeo agli affari esteri fosse una sorta di scambio all’affossamento della normativa europea sul “Made in”, e per Confindustria lo Cnac costituisce «un’opportunità per raccordare pubblico e privato», ma la cui efficacia «dipende dalla capacità a valle del coordinamento strategico, di favorire l’attuazione delle misure e delle azioni promosse dai suoi membri. Si tratta di passare dalle parole ai fatti». Ferrarini ha poi indicato altre iniziative che, a detta degli industriali, occorre attuare in materia di contraffazione: favorire l’attuazione di strategie di contrasto europee, «sia nei controlli doganali per i quali serve maggior omogeneità, sia nelle azioni preventive, «inserendo ad esempio disposizioni più stringenti negli accordi di libero scambio coi Paesi terzi». Non solo: è necessario potenziare la cooperazione amministrativa, «con un unico centro di competenza perché oggi manca il coordinamento affinché le autorità nazionali operino all’unisono». Infine, essenziale per Confindustria «stringere le maglie dei controlli portuali nell’Ue». Molti Paesi membri, rileva Ferrarini, «non hanno legislazioni interne realmente strutturate» e vi sono controlli doganali che sviano i flussi di traffico verso i punti di ingresso più «generosi»; a scapito dell’Italia che esercitano tali controlli «in maniera molto efficace».

Nell’audizione alla commissione, Ferrarini ha rilevato come «la diffusione globale di internet comporta che gli strumenti di contrasto normativo e regolamentare» alla contraffazione sul web «siano almeno europei. In quest’ambito vanno contemperate le esigenze dei fornitori dei servizi web, evitando perché le reti diventino un canale incontrollato di prodotti contraffatti». Secondo Ferrarini, l’“italian sounding”, «cioè l’utilizzo illecito della forza evocativa dell’italianità ha un enorme valore sul mercato: solo nell’Ue vale 21 miliardi, contro 13 dei prodotti originali. Si tratta di un fenomeno che va combattuto con strategie di marketing e valorizzazione del prodotto italiano, attraverso la difesa dei marchi e delle denominazioni d’origine».

Sul tema evocato dalla Ferrarini interviene anche il governatore del Veneto Luca Zaia, che sulla certificazione del “Made in” ha fatto più di una battaglia: «le nostre produzioni di qualità sono conosciute e ricercate in tutto il mondo e vanno tutelate perché sono un valore aggiunto inestimabile. Purtroppo mancano ancora regole sul mercato europeo che ne consentano l’identificazione di origine certa e si diffondono prodotti che nulla hanno a che vedere con il “Made in Italy” e sono spacciati per tali, portando concorrenza sleale e rischi di chiusura per le nostre imprese. Va fatta sentire al Governo con tutte la forza e la coesione possibile – aggiunge Zaia – la necessità che l’Unione Europea introduca l’obbligatorietà del “made in”. Non si può abbassare la guardia perché è una questione di sopravvivenza, oltre che di lotta all’illegalità, per il nostro settore manifatturiero e per l’occupazione».

Sulla vicenza, Zaia evoca uno spettro: «purtroppo è sul nostro Governo che nutro forti perplessità perché, se per l’Italia otterrà su questa partita gli stessi risultati fallimentari che sta conseguendo con l’Europa sul fronte dell’immigrazione, anche questa sacrosanta battaglia potrebbe essere persa. Ed è un rischio che non possiamo correre!».

Per Gianluca Fascina, presidente della Federazione moda di Confartigianato Veneto in seguito a quanto detto dalla vice presidente di Confindustria Lisa Ferrarini, sottolinea come l’esponente confindustriale «non è sola a difendere il “Made in Italy” in Europa. Ci sono milioni di imprenditori artigiani e con loro le organizzazioni come Confartigianato che da anni lottano per ottenere questo risultato dall’UE. Fa piacere che anche Confindustria sia scesa in campo nella richiesta di obbligatorietà del “Made in” – prosegue Fascina -. Più uniti siamo è più possibilità di successo avremo. Ma non possiamo dimenticare quanto Confartigianato ha fatto in questi anni e quanto continua a fare».

Per Fascina «la tracciabilità in Europa non basta. Il nostro Paese ha l’occasione storica per rilanciare il sistema manifatturiero ed attrarre investimenti nel nostro Paese perché l’industria italiana è oggi profondamente rinnovata e dispone di un mix vincente di prodotti che può offrire sui mercati internazionali, in particolare ai Paesi emergenti. Un mix che spazia dai tradizionali beni di lusso e di qualità per la persona e la casa alle tecnologie più avanzate. Tutto ciò passa necessariamente per il “100% Made in Italy”. Un’indicazione di origine prevista dalla legislazione italiana, all’art. 16 della legge 166/2009 ma, come spesso accade in questo Paese, lasciata nell’oblio».