Promozione con riserva da parte delle categorie. Bocciatura senz’appello da parte degli amministratori locali. Inconcepibile l’aumento della tassazione sui fondi pensione e sulle casse previdenziali dei professionisti
Dopo un lungo tira e molla, Matteo Renzi ha messo nero su bianco la sua prima legge di stabilità, che contiene luci (poche e confuse) e ombre (molte).
Tra qualche soddisfazione da parte delle categorie economiche, emerge la decisa contrarietà degli amministratori locali, mentre non si capisce il provvedimento assurdo e inutilmente penalizzante che va a colpire i fondi pensione e le casse previdenziali dei professionisti.
Dal mondo di Confindustria, Massimo Pavin leader degli industriali padovani dà un sostanziale via libera ai contenuti del provvedimento varato: «non esistono manovre di destra o di sinistra, solo manovre che possono dare impulso immediato alla crescita oppure no. Quella approvata dal Consiglio dei ministri mi pare della prima categoria, a cominciare dalla scelta di incidere finalmente sulla pressione fiscale mostruosa che grava sulle imprese. Il cammino è ancora lungo, ma la scelta della crescita attraverso meno spesa per finanziare il taglio delle tasse è la strada giusta. L’unica via di uscita dalla crisi, ma anche della sostenibilità del debito, è la crescita. La strategia del governo indica una scelta di politica economica e non un compromesso, e la discontinuità che serve».
Più cauto il commento del presidente di Confartigianato Veneto, Giuseppe Sbalchiero: «ci sono misure di sicuro impatto per le imprese, anche quelle artigiane. Premesso che non è del tutto scontato che ci sarà il via libera di Bruxelles e soprattutto condividendo le preoccupazioni di queste ore espresse dai Governatori delle Regioni – in particolare quelle virtuose come il Veneto – chiamati a pagare un prezzo altissimo per questa manovra, se restiamo sui titoli, riteniamo positiva l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap. Questa misura comporterà una significativa riduzione della pressione fiscale sul costo del lavoro e riguarderà per il 40,5% le imprese fino a 50 addetti. Altrettanto positiva è l’introduzione di un regime forfettario per le imprese con ridotti ricavi, con la possibilità per gli imprenditori di non versare il minimo contributivo».
Chi è decisamente contrario ai contenuti della manovra è il fronte degli amministratori locali. Il presidente della regione Piemonte e presidente della Conferenza delle regioni Sergio Chiamaprino ha riunito un direttivo d’emergenza: «se è così mi dimetto». Dinanzi all’ipotesi che le Regioni potrebbero aumentare le tasse a seguito dei tagli previsti dalla legge di stabilità come ventilato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, Chiamaprino e i presidenti delle regioni lanciano un forte allarme sulla sostenibilità dei tagli previsti dalla legge di Stabilità. I presidenti condividono la necessità di una manovra espansiva, ma i tagli prospettati sarebbero troppo pesanti: «la manovra così come si configura è insostenibile – ha detto Chiamaprino – e incrina il rapporto che dovrebbe essere di lealtà istituzionale e di pari dignità istituzionale tra enti dello Stato». «Per quel che mi riguarda, piuttosto che ritoccare l’Irap lascio l’incarico di presidente della Regione» ha detto Chiamparino.
“No” deciso anche dal governatore del veneto, Luca Zaia: «per le Regioni, quelle virtuose per prime, questa manovra passerà alla storia come la legge del massacro. Tagli insostenibili, che stiamo subendo sin dal 2011, ma che stavolta avranno pesantissime conseguenze, perché alla gente con una mano si dà ma con l’altra si toglie e le Regioni sono stremate. A Pinocchio stavolta il naso si è allungato a dismisura – aggiunge Zaia – perché i tagli sono solo lineari, senza rispetto per le Regioni virtuose e i loro eroici cittadini. Lo scopriremo quando avranno la bontà di farci sapere quali sono le coperture della manovra, a cominciare da come tagliano l’Irap, cosa che chiedo da ben prima di Renzi, senza tagliare la sanità, scelta aberrante che finirà per ricadere proprio su imprese e cittadini che si vorrebbero agevolare».
A far storcere il naso anche un altro provvedimento che va a colpire la previdenza. Nella legge di Stabilità che il governo Renzi presenterà al parlamento è contenuto un aumento delle tasse sulle Casse di previdenza dei professionisti dal 20% al 26% e delle tasse sul “secondo pilastro” (i fondi pensioni privati) dall’11,5% al 20%, che verranno coinvolte nell’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. Una scelta che, se fosse confermata, sarebbe una «gravissima decisione dalle conseguenze pesanti per l’intero sistema della previdenza privata»: ad attaccare frontalmente il governo è Andrea Camporese, presidente della cassa di previdenza dei giornalisti (Inpgi) e dell’Adepp, l’Associazione degli Enti Previdenziali Privatizzati che riunisce 20 Casse di altrettanti ordini professionali, rappresentative di quasi 2 milioni di iscritti. «Se fosse confermato l’aumento del prelievo fiscale per le Casse di previdenza (dal 20% al 26%) e per il secondo pilastro (dall’11,5% al 20%) nella legge di Stabilità, si tratterebbe di una gravissima decisione dalle conseguenze pesanti per l’intero sistema della previdenza privata. Insanabile ingiustizia nei confronti di chi produce il 15% del Pil. La scelta del governo potrebbe rimettere in discussione la manifestata intenzione degli enti dei professionisti di impegnare i risparmi in un fondo investimenti nell’economia reale del Paese».
Per Camporese «condannare due milioni di professionisti, le loro famiglie e centinaia di migliaia di dipendenti degli studi professionali a un futuro di prestazioni ridotte, mentre i versamenti previdenziali all’Inps risultano non tassati, semplicemente per avere un maggior gettito nell’immediato, significa andare in totale controtendenza rispetto alla linea seguita dagli altri Paesi della Ue, alle indicazioni Ocse e alle risoluzioni della Commissione europea».
L’auspicio è che la bozza di proposta di legge venga adeguatamente corretta durante il passaggio parlamentare, incidendo seriamente su tutta la spesa che è spreco (ed è ancora tantissima, sia a livello centrale che in molte realtà locali), evitando scorciatoie odiose (dall’aumento della tassazione sulla previdenza alle clausole di salvaguardia che, se scattassero, porterebbero ad un aumento immediato delle aliquote Iva agevolate del 4% e del 10% al 15%).