Alla collezione Peggy Guggenheim nuove immagini nell’arte italiana

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Aperta a palazzo Venier dei Leoni a Venezia un’interessante mostra tematica in 45 opere

 

 

Di Giovanni Greto

 

 

imaginePalazzo Venier dei Leoni, sede della Collezione Peggy Guggenheim, ospita “Imagine. Nuove immagini nell’arte italiana 1960-1969”, un’esemplare mostra tematica, che in sole 45 opere riesce a dare un’inedita lettura dell’arte italiana attraverso gli anni ’60, esaminando la nascita della nuova immagine. 

La mostra, il cui titolo è stato preso a prestito dal verbo inglese “to imagine” (il vedere solo con il cervello e non con gli occhi), presenta sala dopo sala (10 in totale) in una serrata successione, le molteplici linee di ricerca di 13 autori italiani che, partendo dall’azzeramento delle neoavanguardie, ricreano un mondo fatto di immagini, figure e racconti originali. 

La parte del leone, quanto a numero di opere, la fa Mario Schifano (1934-1998), con dieci, al quale la mostra dedica due sale. Seguono cinque creazioni a testa per Michelangelo Pistoletto (1933), Domenico Gnoli (1933-1970) e Jannis Kounellis (1936) che simbolicamente apre e chiude con “Margherita di fuoco” (ferro, becco con collettore, tubo di gomma, bombola a gas) il percorso circolare di lettura intorno all’arte italiana. Ogni sala esplora un aspetto della ricerca artistica dei protagonisti di questi anni. “Materia e schermo” è dedicata alle indagini di cancellazione e schermatura della realtà derivanti dall’effervescente clima della Rma del 1960, con i monocromi di Schifano, gli schermi di Fabio Mauri (1926-2009) – due opere sia per lui che per Francesco Lo Savio (1935-1963) -, in dialogo con le forti immagini velate fra il politico e l’araldico di Franco Angeli (1935-1988). 

Nella sala successiva, “La nuova mitologia”, si passa alla nascita di una nuova tipologia di immagine, che guarda alla storia e all’influenza quotidiana che l’arte ha nell’immaginario collettivo italiano : sono le opere di Giosetta Fioroni (1932), “particolare della nascita di Venere (1965)”, ricavata da un frammento della Venere di Botticelli, quasi una pop art ante litteram ; di Tano Festa (1935-1988), “la grande odalisca (1964)” e “nostalgia dell’infinito (obelisco) (1963)”; di Marco Ceroli (1938), “studio per Piper (1965)”, lo  storico locale inaugurato nel 1965. Sette le opere nelle due sale dedicate a Schifano, figura centrale di un percorso di ritrovamento dell’immagine, che giunge a nuove figurazioni. L’opera principale è “l’inverno attraverso il museo (1965)”, realizzata come memoria di un soggiorno a New York tra il dicembre 1963 e l’estate 1964, quando l’artista aveva lo studio a pochi isolati dalla Factory di Andy Warhol, aperta nel 1962. Come reazione e confronto a un’immagine pittoricamente poetica si entra nell’universo di Domenico Gnoli (1933-1970), alle cui particolarissime immagini lenticolari è dedicata una sala che presenta lavori in acrilico e sabbia su tela come “due dormienti (1966)” e “Letto bianco (1968)”. Ecco come l’autore stesso si definisce nella tavola esplicativa alla parete: «mi piace l’America, ma i miei legami sono esclusivamente italiani. Sono metafisico nella misura in cui ricreo una pittura non eloquente, immobile e di atmosfera, che si nutre di sensazioni statiche. I miei temi derivano dall’attualità, dalle situazioni familiari della vita quotidiana. Non sono metafisico, perché non ho mai cercato di mettere in scena, di fabbricare un’immagine». 

Nella sezione “Immagine fotografica e cronaca” c’è un momento di convivenza tra immagine e mezzo fotografico, strumento sempre più presente nell’avanguardia di questi anni. Ecco allora due esempi di Mimmo Rotella (1918-2006), “Posso? (1963-’65)” e “Yalta (1963), i quali costituiscono la sua prima sperimentazione che utilizza procedimenti fotomeccanici; uno di Schifano, che in un paesaggio dedicato a Jean-Luc Godard (1967) cita un fotogramma cinematografico e quasi si scontra con le profonde e classicamente moderne “immagini concettuali” di Giulio Paolini (1940), nelle quali la relazione  tra fotografia e immagine, quale riflessione sulla verità dell’arte attraverso il tempo, assume una posizione centrale. 

Nella sezione conclusiva, “la forma della metafora, le forme della natura”, l’immagine diventa oggetto e supera la semplice rappresentazione. Le quattro opere di Pino Pascali (1935-1968) introducono un soggetto sospeso tra il gioco e un nuovo bestiario contemporaneo, tanto ironico, quanto drammatico (Decapitolazione del rinoceronte, 1966). Le immagini sospese dei Plexigas di Pistoletto del 1964 , “Filo elettrico appeso al muro (Plexiglass)”, “Scala doppia appoggiata al muro (Plexiglass)” trasportano il visitatore in un nuovo spazio dell’opera, che indaga il rapporto tra oggetto e figura. Con la ricchezza della metafora incarnata dalle creazioni di Kounellis “Senza titolo (1963 e 1967)”  e “Rosa Bianca (1967)” si completa questa prima indagine intorno alle nuove possibilità interpretative dell’immagine.