Pil, in Italia fa il gambero: a giugno rimane invariato, con un calo superiore alle previsioni

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matteo renzi manina
La crescita acquisita per il 2016 è allo 0,6%. Ennesima prova del fallimento delle politiche economiche del Governo Renzi

 

matteo renzi maninaDopo il dato relativo all’andamento dei prezzi che certifica come l’Italia sia ancora in deflazione, oggi arriva anche quello relativo alla crescita del Pil, peggiore di tutte le previsioni di calo finora fatte: nel secondo trimestre 2016, la crescita economica è rimasta inchiodata sullo zero, con un tendenziale per l’anno in corso di uno striminzito 0,6%, valore che fa sballare tutte le previsioni economiche fatte dal Governo Renzi, aprendo la strada anche ad una manovra aggiuntiva per quadrare gli obiettivi del bilancio in corso ed evitare gli strali europei.

Nel secondo trimestre del 2016 il prodotto interno lordo, espresso in valori concatenati (anno di riferimento 2010), corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente (quando era cresciuto dello 0,3%) ed è aumentato dello 0,7% nei confronti del secondo trimestre del 2015. 

La variazione congiunturale, spiega l’Istat, è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dei servizi e di una diminuzione in quello dell’industria. Dal lato della domanda, vi è un lieve contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), compensato da un apporto positivo della componente estera netta. 

Contemporaneamente, secondo Eurostat il Pil dell’Eurozona è cresciuto del +0,3% nel secondo trimestre del 2016. Per l’insieme della Ue a 28 indica una crescita del +0,4%, sempre sul trimestre precedente. Su base annua, la crescita è dell’1,6% per i 19 paesi della moneta unica e dell’1,8% per i 28. Nello stesso periodo il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% nel Regno Unito e dello 0,3% negli Stati Uniti, mentre ha segnato una variazione nulla in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 2,2% nel Regno Unito (alla faccia della Brexit!), dell’1,4% in Francia e dell’1,2% negli Stati Uniti. Le migliori performance su base annuale sono state della Slovacchia +3,7%, Spagna +3,2%, Cipro +2,7%, Lituania +2%, Germania +1,8%. I peggiori risultati per Grecia -0,7%, Estonia +0,5%, Italia e Lettonia +0,7%, Portogallo +0,8%. 

Il prodotto pro capite italiano nel 2007 era pari al 98% di quello medio dell’area Euro, mentre nel 2015 si è ridotto all’88%, dopo una costante riduzione che ha provocato una perdita di 10 punti percentuali. E’ quanto rileva il Report Finanza Locale 2016 a cura del Centro Studi e ricerche di Cassa depositi e prestiti. La produttività media del lavoro, invece, ha subìto un deterioramento più contenuto rispetto al prodotto pro capite, anche a causa dell’andamento sfavorevole del tasso di occupazione, che ha penalizzato maggiormente il prodotto pro capite rispetto alla produttività. Nel 2007, infatti, la produttività media del lavoro in Italia faceva registrare un dato migliore rispetto alla media dell’area Euro, essendo pari al 102%. Nel 2015, tuttavia, essa era scesa al 97%, dopo aver mostrato un lieve miglioramento manifestatosi nel 2013, con una perdita complessiva di 5 punti percentuali. Per quanto riguarda la produttività totale dei fattori (Tfp), posto pari a 100 il livello raggiunto nel 2007, nel 2015 era pari a 95, dopo un breve recupero nel biennio 2010-2011 e un lieve incremento nel 2015 rispetto all’anno precedente.

«In un panorama economico internazionale che si è fatto più complicato, l’Italia conferma le sue difficoltà di lungo periodo – afferma Andrea Goldstein, managing director di Nomisma -. Crescita congiunturale zero, come in Francia ma molto al di sotto che in Germania (0,4% secondo la stima Destatis pubblicata oggi), la situazione dell’economia nazionale non può che destare preoccupazione. Soprattutto perché cala il valore aggiunto dell’industria, mentre dal lato della domanda il contributo della componente nazionale è lievemente negativo. Per l’ennesima volta, a tenere è solo la componente estera netta, favorita dal prezzo ancora debole dell’energia. Con una variazione acquisita per il 2016 pari a un modesto +0,6%, la spazio per una manovra espansiva ad autunno si riduce ulteriormente. Non c’è alternativa a una politica economica nel segno delle misure strutturali e del recupero della competitività erosa da troppi anni di timidezza» conclude Goldstein.

Le reazioni della politica al dato negativo – l’ennesimo – relativo all’economia nazionale non ha tardato di sollevare le reazioni politiche. Dalla parte della maggioranza, la vice presidente dei deputati PD, Silvia Fregolent, butta acqua sul fuoco: «la variazione acquisita per il 2016 è pari a 0,6% confermando che i tempi della recessione, caratterizza dal segno negativo, sono lontani. Questi dati inevitabilmente risentono anche della situazione internazionale ed europea dopo il referendum inglese sulla uscita della Gran Bretagna dall’Ue. È evidente che l’Italia non è ferma ma si è rimessa in moto e, grazie alle riforme che il governo ha messo in campo in questi anni, reagisce a una situazione che riguarda tutta l’Europa. Chi oggi ironizza sugli zero virgola, ci chiediamo che cosa abbia fatto nei lunghi anni in cui è stato al governo. Adesso si tratta di proseguire il nostro lavoro per sbloccare il Paese e sostenere con tutte le nostre forze le riforme dell’esecutivo».

 

Dal versante opposto, il presidente dei deputati di Forza Italia, l’economista Renato Brunetta chiosa ironicamente: «pioggia di brutte notizie per Renzi. Bankitalia e Istat suonano il de profundis al Governo. Innanzitutto sul debito pubblico: nuovo record a giugno, con 2.248,8 miliardi, a smentire il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, che continua a ripetere, non si sa su quali basi, che diminuisce. Ma negare l’evidenza è una pratica consolidata di questo esecutivo. Lo ha fatto, da quando è in carica, anche sulla crescita, propagandando una ripresa che non c’è». Per Brunetta, «i dati Istat di oggi ci dicono che tra marzo e giugno di quest’anno il Pil italiano è rimasto fermo al palo e che nei primi sei mesi del 2016 la crescita acquisita è solo dello 0,6%. Destinato a rimanere immobile o a diminuire nei prossimi trimestri, quando sconteremo l’effetto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, di cui i dati di oggi non tengono ancora conto. Rispetto alle previsioni del Governo, che nel Documento di economia e finanza (Def) di aprile ha stimato una crescita del Pil nel 2016 dell’1,2%: siamo esattamente alla metà. Se a questo si aggiunge che nel calcolo del Pil nominale (Pil reale + inflazione), che è quello che conta ai fini del rispetto dei parametri europei, il governo ha stimato un tasso di inflazione dell’1%, quando a fine anno sarà pari a zero o meno di zero, avremo dati a consuntivo (Pil nominale: 0,6%-0,7%) pari a un terzo rispetto alle previsioni del governo (Pil nominale: 2,2%), con tutte le conseguenze in termini di deficit, debito, investimenti. Per correggere i conti pubblici, servirà –continua Brunetta – una manovra da 30-40 miliardi. E la Legge di stabilità di ottobre sarà lacrime e sangue per il Paese, altro che bonus promessi a destra e a manca per comprarsi il consenso. Gli italiani al referendum di autunno giustamente voteranno “No” con le tasche, e non avranno pietà dell’imbonitore Renzi. Se il buon giorno si vede dal mattino – conclude -, sarà un autunno caldo e nero per il Governo».