Cgia, no a più Iva e a meno cuneo fiscale

0
380
divario dell'iva aumento iva
Secondo gli artigiani mestrini i vantaggi complessivi sarebbero nulli, con il rischio di svantaggiare ulteriormente i soggetti più deboli

aumento iva«No all’aumento dell’Iva per finanziare la riduzione del cuneo fiscale. Questa operazione, infatti, non sarebbe a somma zero. Se a seguito di un’eventuale riduzione del costo del lavoro i vantaggi economici ricadrebbero su imprese e/o lavoratori dipendenti, il rincaro dell’Iva, invece, lo pagherebbero tutti. In particolar modo i più deboli, come i disoccupati, gli inattivi e i pensionati che, invece, dal taglio delle tasse sul lavoro non beneficerebbero, almeno direttamente, di alcun vantaggio». A dirlo è il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo.

Una ipotesi, quella dello scambio “più Iva meno cuneo fiscale”, che sta prendendo sempre più forma, anche perché Bruxelles ci chiede da tempo di equilibrare meglio il carico fiscale nazionale attraverso la riduzione delle imposte dirette e un corrispondente innalzamento di quelle indirette. 

«Vista la situazione dei nostri conti pubblici – conclude Zabeo – è molto probabile  che il Governo non sarà in grado di recuperare entro la fine di quest’anno tutti i 19,5 miliardi necessari per evitare che, dal 2018, l’aliquota Iva del 10 passi al 13 e quella del 22 al 25 per cento. Ricordo che un aumento di un punto dell’aliquota ridotta costa agli italiani poco più di 2 miliardi e quella ordinaria 4. Pertanto, non è da escludere che dei 19,5 miliardi l’esecutivo sia in grado di sterilizzarne solo una parte, almeno 14-15. E visto che la spesa corrente al netto degli interessi è destinata ad aumentare ancora, la quota rimanente dovrà essere recuperata con nuove entrate, con il ritocco, ad esempio, di un punto di entrambe le aliquote Iva».  

Per sopire le critiche, anche in vista delle nuove elezioni politiche che ormai si terranno l’anno prossimo, è quasi certo che una parte di questo nuovo gettito andrà a finanziare la riduzione del cuneo fiscale. Una misura che il premier Gentiloni ha annunciato di voler approvare. Anche se si è ancora nel campo delle ipotesi, secondo la Cgia le indiscrezioni apparse sui media in questi giorni lasciano intravvedere un quadro generale molto prossimo a questo. 

Già ora l’Italia è tra i principali paesi dell’area Euro ad avere l’aliquota ordinaria Iva più elevata, con il22%, mentre in Spagna è al 21, in Francia al 20 e in Germania al 19 Chi verrebbe penalizzato maggiormente da un eventuale aumento dell’Iva? In termini assoluti sarebbero i percettori di redditi più elevati, visto che a una maggiore disponibilità economica si accompagna una più elevata capacità di spesa, anche se non è detto che talune spese, specie quelle a maggiore indice di rischiosità fiscale (come acquisto di gioielli) venga fatto in Italia. La misurazione più corretta, tuttavia, si ottiene calcolando l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva sulla retribuzione netta di un capo famiglia. Adottando questa metodologia, l’aggravio più pesante interesserebbe i percettori di redditi bassi e, a parità di reddito, le famiglie più numerose.

Con un incremento di un punto di Iva dal 22% al 23%, ad esempio, una famiglia di 3/4 persone subirebbe un aumento di imposta di circa 100 euro all’anno che, ovviamente, avrebbe delle ripercussioni negative sui consumi interni del paese che costituiscono la componente più importante del Pil nazionale, già asfittico di suo.