Concessioni balneari: l’Ue mette in mora l’Italia

Contestate le conclusioni del tavolo tecnico che, calcolando tutte le coste del Belpaese, comprese quelle inaccessibili e inquinate, ha stabilito che non c’è scarsità del bene.

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Concessioni balneari

Sulla querelle delle concessioni balneari, a Bruxelles non si sono fatti prendere per il naso dall’esito del Tavolo tecnico sui balneari diffuso dal governo a ottobre, secondo cui la quota di aree occupate dalle concessioni marine equivale al 33% delle aree disponibili, ritenendo così non obbligatorio applicare i criteri delle gare pubbliche per il loro rinnovo, così come imporrebbe dal 2006 la direttiva Bolkestein.

La sòla allestita a Roma e recapitata a Bruxelles non è stata digerita dai controllori della Commissione che hanno bacchettato l’Italia invitandola in una comunicazione di ben 31 pagine ad adempiere entro i prossimi 60 giorni dal ricevimento della contestazione, perché la conclusione del Tavolo tecnico «non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di concessione balneare» e »non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale».

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Alla polpetta avvelenata ammannita da Salvini, Gasparri & C. a Bruxelles non hanno abboccato: «in primo luogo, tale percentuale del 33% è calcolata rispetto al totale dell’area demaniale, solo “al netto di aree militari e secretate”. Pertanto, il calcolo di tale percentuale non sembra assumere come base di riferimento le aree demaniali effettivamente ed attualmentedisponibili” in capo ai comuni per i servizi di “concessione balneare” – recita la missiva da della Commissione europea -. In particolare il documento chiarisce che sono state incluse anche “le aree di costa di minore accessibilità per condizioni naturali” (“potendo” essere interessate — anche se teoricamente — da “investimenti di riqualificazione tali da renderle attrattive per lo sviluppo di nuove attività economiche”). Si afferma altresì che il totale delle aree disponibilinon deve riguardare unicamente le partisabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest’ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative”. Inoltre, in alcuni casi, opere a difesa della costa sono state concretamente utilizzate a fini turistico-ricreativi».

Pertanto, nel tentativo di confutare l’evidenza, i pasdaran parlamentari dei balneari hanno sostenuto che «tuttele parti della “costa rocciosasono state consideratearee disponibili”, presupponendo la loro generale idoneità ad essere soggette a “concessioni balnearisolo perchéè possibileinstallare strutture turistico-ricreative e perché “in alcuni casi” opere a difesa della costa sono state utilizzate per attività turistiche».

Nello sforzo colossale di rendere balneabile l’impossibile, la Commissione europea sgama il giochetto: «si indica che “il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali” (aree che, a quanto risulta alla Commissione, non sono e non saranno soggette a “concessioni balneari”) non sono stati esclusi dal totale di riferimento delle “aree disponibili”, ma sono stati inclusi nel calcoloche ha portato al suddetto 33%».

Nella lettera inviata al governo Meloni, il commissario Ue al Mercato interno, Thierry Breton, osserva inoltre che «la percentuale del 33% sembra riferirsi a una valutazione globale compiuta solo a livello nazionale, in quanto non vi è alcuna indicazione del fatto che il “Tavolo tecnicoabbia preso in considerazione le situazioni specifiche delle regioni, nonché le situazioni di singoli comuni (in particolare quelli più turistici) in cui tutte le possibili aree sfruttabili commercialmente potrebbero già essere oggetto di concessioni».

Insomma, a meno di riuscire a convincere la Commissione europea che in Italia esiste una realtà onirica, la comunicazione appena giunta a Roma costituisce di fatto un preavviso che tra 60 giorni scatterà la procedurad’infrazione con conseguente devoluzione del caso alla Corte di giustizia europea la quale, dopo avere constatato la perdurante violazione della direttiva Bolkestein, potrebbe infliggere l’ennesima multa a dannodell’Italia, con il risultato che per garantire il lucro di pochi fortunati saranno tutti i cittadini a doversene farne carico. E non saranno bruscolini, ma milioni, decine di milioni di euro che andranno ad aggiungersi al miliardo di euro abbondante che l’Italia sta già pagando a Bruxelles per le sanzioni alle norme comunitarie. Sempre che a farsene carico non siano quei Salvini, Gasparri & C. che sulla difesa ad oltranza degli interessi privati dei balneari hanno fatto una battaglia di politica clientelare.

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